Manifesto1 per i territori di vita2

(Versione approvata dalla 19esima AG del Consorzio ICCA del 28 giugno, 2023)

Questo è un ‘documento vivo’,3 che verrà regolarmente riaffermato, ed arricchito se necessario.

Siamo grati per la vita, il dono sacro che continuiamo a ricevere ogni istante e che unisce tutti noi alla Terra, nostra madre;

Siamo grati per la terra, il fuoco, l’acqua, l’aria e tutti gli esseri, dal più piccolo al più grande, nel mondo animale, in quello delle piante e dei funghi, delle acque e dei minerali, della spiritualità e del cosmo;

Siamo grati ai nostri antenati ed a tutte le generazioni che hanno profuso impegno e saggezza a sostegno della vita;

Siamo grati a tutti coloro che hanno tracciato sentieri sulla terra e sul mare, che hanno nutrito semi e razze animali, che hanno imparato e tramandato modi di trovare, coltivare, conservare e trasformare il cibo;

Siamo grati a tutti coloro che hanno sviluppato le lingue e le storie, la musica, l’artigianato e le costruzioni, le arti ed i riti, le conoscenze e le abilità necessarie per plasmare e creare;

Siamo grati a tutti i custodi dei territori di vita, le comunità umane, mobili e stanziali, che si sono evolute insieme con le foreste, le praterie, le montagne, le pianure, le isole, i laghi, le zone aride, le zone umide, i fiumi, la tundra, i ghiacciai e gli ambienti marini e costieri che, a loro volta, hanno nutrito per millenni la loro sussistenza, la loro identità e la loro capacità di accudirli.

Noi, che viviamo nei territori di vita e ci auto-identifichiamo e riconosciamo reciprocamente4 come Popoli Indigeni5 o comunità locali6 custodi7,

Noi, che comprendiamo i molteplici valori dei territori di vita e siamo determinati a sostenere i Popoli Indigeni e le comunità locali custodi,

Affermiamo e ci impegniamo a:

Vivere in ossequio, rispetto e cura per la Natura8— l’essenza della vita e il cuore dei valori etici per molti di noi;

Cercare di ‘viver bene’ (buen vivir)9 nei territori di vita, in connessione con i nostri antenati, le generazioni future, le presenze spirituali e le visioni del mondo che danno senso alla nostra vita;

Celebrare i territori di vita come patrimonio collettivo, base della nostra salute fisica e spirituale, del benessere, della creatività e della gioia;

Esercitare la solidarietà, la responsabilità e il rispetto reciproci, l’equità e la pace attiva entro e tra i custodi, siano essi Popoli Indigeni o comunità locali;

Nutrire la diversità delle lingue, delle culture, dei modi di apprendimento e delle visioni del mondo entro e tra i custodi, e fare tesoro dei sistemi di conoscenze locali viventi che aiutano ad accudire, usare saggiamente e ripristinare i territori di vita;

Tener sempre presente che condividiamo la nostra umanità, mentre rifiutiamo l’assimilazione a lingue, culture e visioni del mondo coloniali e ci opponiamo al nativismo fanatico10 ed alle violenze e discriminazioni di ogni tipo, incluso quelle basate su genere, razza, età, religione, tradizioni, abilità fisiche e intellettuali e situazione socio-economica;

Documentare i territori di vita come spazi di diversità naturale e culturale, benessere, apprendimento, spiritualità, impegno attivo dei cittadini ed autodeterminazione sostenibile;

Cercare forme adeguate di supporto per i territori di vita, in modo che le generazioni presenti e future di custodi possano continuare a sostenersi e contribuire alle società in generale;

Rispettare e imparare dalle regole e dalle istituzioni che i custodi definiscono per sé stessi e rafforzarle adottando in forma volontaria dei limiti al consumo materiale, costruendo economie morali11 e ricercando appropriati livelli di autonomia;12

Rafforzare la consapevolezza, l’organizzazione e l’azione a proposito di:

Territori di vita – entità viventi in sé e base di ogni sostento e diversità;

I custodi dei territori di vita – i Popoli Indigeni e le comunità locali
che si prendono cura dei modi di vita, delle culture, delle economie
morali, delle regole del viver bene e dell’autodeterminazione nei
loro territori;

I difensori dei territori di vita – i custodi che lottano coraggiosamente per impedire l’uso improprio e il degrado dei loro territori e che troppo spesso pagano prezzi pesanti per questo;

Il ruolo immenso delle donne, Indigene e non Indigene, e delle loro conoscenze, capacità ed aspirazioni nel prendersi cura dei territori di vita nelle loro comunità e al di là di quelle;

L’importanza di perpetuare i sistemi alimentari locali che garantiscono la sovranità alimentare in un mosaico di ambienti agro ecologici, compresa la pesca artigianale nelle zone umide e costiere;

Il contesto storico ed attuale delle ingiustizie, della colonizzazione, della militarizzazione,13 delle dislocazioni e sedentarizzazioni forzate, della frammentazione e mercificazione della Natura, dell’accaparramento di terre e acque per l’estrattivismo,14 delle speculazioni finanziarie, delle imprese produttive e delle infrastrutture inquinanti e distruttive, e tutte le forme di inganno, indottrinamento e cambiamento violento a livello internazionale e nazionale che hanno avuto un impatto sui territori di vita e sui loro custodi e difensori;

I potenziali benefici ma anche i potenziali danni delle nuove tecnologie, poiché le rappresentazioni digitali e le manipolazioni genetiche non possono sostituire la vita stessa, e le prospettive ed i prodotti dell’intelligenza artificiale e della biologia molecolare non devono interferire né con l’intelligenza della vita né con le conoscenze indigene e quelle delle comunità locali radicate nei territori di vita;

I modi di vita e le istituzioni tradizionali di governance dei Popoli Indigeni e delle comunità locali custodi che hanno mantenuto la vitalità dei territori di vita per generazioni, anche quando sono stati ingiustamente criminalizzati;15

I nuovi modi di vita e le nuove istituzioni di governance delle comunità che si affermano con entusiasmo e creatività come aspiranti custodi dei territori di vita;

L’esistenza di Popoli Indigeni che vivono in isolamento volontario, i cui diritti ai territori di vita ed alla cultura devono essere riconosciuti, rispettati e difesi;

I legami tra diversità biologica, ecologica e culturale e la necessità di riconoscere i territori di vita come paesaggi bio-culturali e aree conservate di fatto16 che contribuiscono in modo sostanziale a limitare, e ad adattarsi, ai cambiamenti climatici;

L’urgente necessità di politiche nazionali di conservazione che prevedano la restituzione dei territori di vita sottratti ai Popoli Indigeni e alle comunità custodi e che riconoscano e sostengano i custodi— anche dal punto di vista economico– nel mantenere viva la diversità bio-culturale sia nelle aree da loro ‘conservate di fatto’ sia nelle aree protette istituite dallo Stato;

L’urgente necessità di un regime di conservazione globale, basato sui territori di vita, in cui i popoli Indigeni e le comunità custodi riprendano la loro responsabilità storica di gestire in modo sostenibile la biodiversità a beneficio di tutti;

L’urgente necessità di un cambiamento fondamentale nei regimi nazionali e globali, che li allontani sia dalle odierne economie insostenibili, sfruttatrici, estrattive e basate sulle spese militari, sia dalla governance centralizzata;

Il ruolo critico dei territori di vita e dei loro custodi per garantire che le generazioni future ereditino un mondo diversificato, giusto e vivibile.

Sulla base del nostro comune senso di gratitudine, affermazione e impegno, e agendo in pace e collaborazione con le nostre società, ci alleiamo in solidarietà17 verso l’autodeterminazione sostenibile18 di tutti i custodi dei territori di vita.

Organizzati in reti locali, nazionali,
regionali e globali, noi:

Perseguiremo la rinascita, la decolonizzazione e l’autoemancipazione dei Popoli Indigeni e delle comunità locali che si riconoscono come custodi, e il loro reciproco riconoscimento tra pari sulla base di rinnovate relazioni e responsabilità collettive19 per i territori di vita;

Perseguiremo il riconoscimento dei diritti dei Popoli Indigeni e dei diritti collettivi delle comunità locali custodi a governare i territori di vita come loro beni comuni, base indispensabile per la sopravvivenza della loro cultura;20

Governeremo, gestiremo e ci prenderemo cura collettivamente dei territori di vita in quanto Popoli Indigeni e comunità locali custodi, anche ripristinandoli e rigenerandoli laddove gli ecosistemi fossero stati degradati o la fauna selvatica decimata, in modo che le generazioni presenti e future assicurino il loro benessere nella Natura e come parte della Natura;

Conserveremo i territori di vita, impedendone la frammentazione, la privatizzazione, la militarizzazione e la mercificazione, cercando di renderli per sempre liberi dall’estrattivismo o da qualsiasi altro ‘sviluppo’ intrapreso senza il consenso preventivo, libero ed informato dei loro custodi;

Difenderemo i territori di vita e i loro custodi e difensori, e resisteremo alle forme ingiuste di governance della Natura, allo sviluppo insostenibile e alla guerra perenne all’interno ma anche al di là dei territori di vita, valorizzando la frugalità, il benessere, i beni comuni globali e la pace ovunque;

Ricercheremo tutte le dimensioni della giustizia sociale, ambientale e climatica21 all’interno ed al di là dei territori di vita.

Firmatari

(all’20 settembre 2023)

Teodoro Brawner Baguilat Jr.
Presidente (Comitato Esecutivo), Consiglio del Consorzio ICCA

Membri del Consiglio degli Anziani

 

Organizzazioni

  1. Observatorio Ciudadano, Chile (Membro del Consorzio ICCA)
  2. Indigenous Taiwan Self-Determination Alliance–ITWSDA (Membro del Consorzio ICCA)
  3. SAVIA, Bolivia (Membro del Consorzio ICCA)
  4. ALDEA, Ecuador (Membro del Consorzio ICCA)
  5. Kalpavriksh, India (Membro del Consorzio ICCA)
  6. U Yich Lu’um, Mexico (Membro del Consorzio ICCA)
  7. KRAPAVIS, India (Membro del Consorzio ICCA)
  8. CENESTA, Iran (Membro del Consorzio ICCA)
  9. APCRM – Kawawana – Mangagoulak Rural Community Fishermen’s Association, Senegal (Membro del Consorzio ICCA)
  10. Endorois Welfare Council, Kenya (Membro del Consorzio ICCA)
  11. NCCAF – Nagaland Community Conservation Area Forum, India (Membro del Consorzio ICCA)
  12. TNRF – Tanzania Natural Resource Forum, Tanzania (Membro del Consorzio ICCA)
  13. CoopeSoliDar R.L, Costa Rica (Membro del Consorzio ICCA)
  14. Biocultural Heritage Network, Mexico (Membro del Consorzio ICCA)
  15. MEMOLab (Biocultural Archaeology Laboratory), Spain (Membro del Consorzio ICCA)
  16. MBLA – Moroccan Biodiversity and Livelihoods Association, Morocco (Membro del Consorzio ICCA)
  17. Strong Roots, DRC (Membro del Consorzio ICCA)
  18. BED – Brod Ecological Society, Croatia (Membro del Consorzio ICCA)
  19. Natural Justice, South Africa (Membro del Consorzio ICCA)
  20. Center for Social Development and Sustainability, Nuiwari, A.C., Mexico (Membro del Consorzio ICCA)
  21. Confederacion Indigena Tayrona, Colombia (Membro del Consorzio ICCA)
  22. Action pour le Développement Durable ACDD, Cameroon (Membro del Consorzio ICCA)
  23. Talents des Femmes Autochtones et Rurales, DRC (Membro del Consorzio ICCA)
  24. ANAPAC, DRC (Membro del Consorzio ICCA)
  25. Non-Timber Forest Products Exchange Programme NTFP-EP (Membro del Consorzio ICCA)
  26. Centre Régional de Recherche et d’Education pour un Développement Intégré (CREDI-ONG), Benin (Membro del Consorzio ICCA)
  27. Asociación Indígena Mapu Lahual de Butahuillimapu, Chile (Membro del Consorzio ICCA)
  28. Foundation for the Preservation of Wildlife and Cultural Assets, Armenia (Membro del Consorzio ICCA)
  29. Fundación para el desarrollo de la cultura indígena Los pasos del jaguar, El Salvador (Membro del Consorzio ICCA)
  30. Congreso indigenas Maje Embera Drua, Panama (Membro del Consorzio ICCA)
  31. Centro de Estudios Médicos Interculturales CEMI, Colombia (Membro del Consorzio ICCA)
  32. Centro de Asistencia Legal a Pueblos Indigenas CALPI, Nicaragua
  33. ILC Asia Platform on Ecosystem Restoration
  34. Red Patrimonio Biocultural de México, Messico (Membro del Consorzio ICCA)
  35. FIDEPE, Camerun (Membro del Consorzio ICCA)
  36. Aborigine Forum, Russia (Membro del Consorzio ICCA)

 

Individui

  1. Jeff Ganohalidoh Corntassel (Cherokee Nation), Membro onorario del Consorzio ICCA
  2. Sutej Hugu (Siraya People), Membro onorario del Consorzio ICCA
  3. Lorena Arce, Chile, Membro onorario del Consorzio ICCA
  4. Paola Maldonado Tobar, Ecuador, Membro onorario del Consorzio ICCA
  5. Carmen Miranda, Bolivia, Membro onorario del Consorzio ICCA
  6. Delfin Ganapin, The Philippines, Membro onorario del Consorzio ICCA
  7. Joseph Itongwa Mukumo (Walikale People), Democratic Republic of Congo, Membro onorario del Consorzio ICCA
  8. Aman Singh, India, Membro onorario del Consorzio ICCA
  9. Antonino Morabito, Italy, Membro onorario del Consorzio ICCA
  10. Vololoniaina Rasoarimanana, Madagascar, Membro onorario del Consorzio ICCA
  11. Victor Boton, Benin, Membro onorario del Consorzio ICCA
  12. Patricia Mupeta Muyamwa, Zambia, Membro onorario del Consorzio ICCA
  13. Janis Alcorn, United States, Membro onorario del Consorzio ICCA
  14. Alessandra Pellegrini, Australia, Membro onorario del Consorzio ICCA
  15. Christian Chatelain, France, Membro onorario del Consorzio ICCA
  16. Faisal Moola, Canada, Membro onorario del Consorzio ICCA
  17. Emmanuel Sulle, Tanzania, Membro onorario del Consorzio ICCA
  18. Michel Forst, France, Membro onorario del Consorzio ICCA
  19. Mrinalini Rai, India, Membro onorario del Consorzio ICCA
  20. Barbara Ehringhaus, Germany, Membro onorario del Consorzio ICCA
  21. Tim Salomon, The Philippines, Membro onorario del Consorzio ICCA
  22. Rosemary Hill, Australia, Membro onorario del Consorzio ICCA
  23. Shruti Ajit, India, Membro onorario del Consorzio ICCA
  24. Jenny Springer, United States, Membro onorario del Consorzio ICCA
  25. Marco Bassi, Italy, Membro onorario del Consorzio ICCA
  26. Dominique Bikaba, DRC, Membro onorario del Consorzio ICCA
  27. João Gama Amaralare, Portugal, Membro onorario del Consorzio ICCA
  28. Md Kutub Uddin (Mohammad Arju), Bangladesh, Coordinatore delle comunicazioni, Consorzio TICCA
  29. Emmanuel Ole Kileli, Tanzania, Membro onorario del Consorzio ICCA
  30. Ykhanbai Hijaba, Mongolia, Membro onorario del Consorzio ICCA
  31. Jerome Lewis, United Kingdom, Membro onorario del Consorzio ICCA
  32. Marta Villa, Italy, Membro onorario del Consorzio ICCA
  33. Federico Bigaran, Italy, Membro onorario del Consorzio ICCA
  34. Ali Razmkhah, Iran, Membro onorario del Consorzio ICCA
  35. Maria Luisa Acosta, Nicaragua, Membro onorario del Consorzio ICCA
  36. Carolina Amaya Pedraza, Colombia, Membro onorario del Consorzio ICCA
  37. Niyomugabo Ildephonse, Representative of Hope for Community Development Organization (HCDO), Rwanda
  38. S Faizi, India, Membro onorario del Consorzio ICCA
  39. Jasmin Upton, UNEP-WCMC, Membro onorario del Consorzio ICCA
  40. Vanessa Linforth, UK, Membro onorario del Consorzio ICCA
  41. Kawika Winter, United States, Membro onorario del Consorzio ICCA
  42. Stan Stevens, United States, Membro onorario del Consorzio ICCA
  43. Zakaria Faustin, Zambia, Membro onorario del Consorzio ICCA
  44. Benjamin Ortiz, Membro onorario del Consorzio ICCA
  45. Simon Catar, Membro onorario del Consorzio ICCA
  46. Alessandro Mancuso, Italy, Membro onorario del Consorzio ICCA
  47. Fenosoa Andriamahenina, Madagascar, Membro onorario del Consorzio ICCA

Grazie in anticipo per la vostra participazione attiva a questo importante processo. A presto!

Note esplicative al Manifesto per i territori di vita

  1. La necessità di un ‘Manifesto per i territori di vita’ è stata stabilita dal Consorzio ICCA nel gennaio 2019. Da allora, si sono avuti molti scambi sul tema durante le riunioni del Consorzio e le assemblee a livello mondiale, regionale e nazionale, e sono state prodotte diverse dichiarazioni pertinenti. Sulla base di queste dichiarazioni, nonché di relazioni, pubblicazioni e discussioni via e-mail tra i Membri ed i membri onorari sin dal 2008, è stato condotto, nel 2022, tra i Membri ed i membri onorari del Consorzio, un esercizio specifico incentrato sul Manifesto. L’esercizio è durato alcuni mesi e i suoi risultati sono stati raccolti dalla segreteria. Sulla base di tutto questo, e sulla base dell’attuale missione e visione del Consorzio, nell’aprile 2023 il Consiglio degli anziani ha redatto una prima bozza di questo Manifesto. La bozza è stata prontamente esaminata e commentata dai membri del Consiglio e dalla Segreteria, e ulteriori bozze sono state compilate e inviate per commenti a tutti i membri del Consorzio. La versione attuale integra i numerosi commenti ricevuti per iscritto e durante le discussioni online. Il Manifesto si compone di tre parti. La prima parte non è un preambolo, ma un appello alla gratitudine e all’unità, simile a quelli condivisi all’inizio della maggior parte degli incontri del Consorzio nei diversi continenti. Segue la necessaria precisazione che il Manifesto nasce dall’alleanza solidale tra due diversi gruppi di persone: 1) i Popoli Indigeni e le comunità che sono direttamente custodi e 2) i loro sostenitori. La seconda parte è un’affermazione e un impegno a continuare a sostenere i molti valori dei territori di vita e la diversità delle culture che li hanno alimentati. Vi si descrivono inoltre alcune questioni e situazioni attuali, elencate alla voce ‘sensibilizzazione, organizzazione e azione’, che delineano il contesto che ha dato origine al Manifesto. La terza parte inizia con la definizione dell’obiettivo e della visione generale delle organizzazioni e degli individui che aderiscono al Manifesto. Segue l’impegno ad agire. È implicito che il ‘Consorzio ICCA’ potrebbe cambiare nome e diventare un’Alleanza (globale? multilivello? solidale?) per i territori di vita. E’ evidente che questo Manifesto non è per tutti i Popoli Indigeni e le comunità locali, ma solo per quelli che si auto-identificano e si riconoscono reciprocamente come custodi di territori di vita e che cercano un livello di autodeterminazione adeguato alle loro circostanze.
  2. Il termine ‘territori di vita’ non è in maiuscolo e proponiamo di non abbreviarlo con TdV per sottolineare che il termine non è un’etichetta, ma un elemento di lingua franca per descrivere un fenomeno importante, che è diffuso e diversificato. ‘Territori di vita’ e ‘custodi’ sono concetti interdipendenti, ovvero un territorio di vita è un territorio che nutre un Popolo Indigeno od una comunità locale di custodi, e un Popolo Indigeno o una comunità locale di custodi si prende cura di un territorio di vita. Diciamo anche che i custodi includono “… le comunità umane, mobili e stanziali, che si sono evolute insieme con le foreste, le praterie, le montagne, le pianure, le isole, i laghi, le zone aride, le zone umide, i fiumi, la tundra, i ghiacciai e gli ambienti marini e costieri che, a loro volta, hanno nutrito per millenni la loro sussistenza, la loro identità e la loro capacità di accudirli”. Ma non offriamo definizioni. Vi sono due ragioni principali. La prima è che molti firmatari del Manifesto hanno nomi propri per i loro territori di vita e un senso del concetto che è più ricco e più ampio di qualsiasi definizione. La seconda è che una certa apertura e un pizzico di ambiguità lasciano ai concetti lo spazio per respirare e crescere, non inchiodano una diversità di vedute, permettendo loro di evolvere dinamicamente ed al proprio ritmo. Detto questo, i membri del Consorzio hanno spesso parlato di tre caratteristiche che definiscono i territori di vita: 1) Un legame stretto e profondo tra un territorio e il Popolo Indigeno o la comunità che ne è custode; 2) Tale popolo o comunità di custodi è in grado di sviluppare e far rispettare le regole sul territorio (ha un’istituzione di governance ben funzionante); 3) Le regole e gli sforzi del popolo o della comunità di custodi contribuiscono positivamente alla conservazione della Natura e al sostentamento ed al benessere della comunità. Queste caratteristiche variano a seconda dei contesti e delle regioni. Alcuni custodi usano il termine ‘territori di vita definiti’ quando le tre caratteristiche sono pienamente soddisfatte e ‘territori di vita perturbati’ per quelli che le soddisfacevano in passato ma che oggi non le soddisfano più a causa di cambiamenti e perturbazioni storiche che possono ancora essere invertite o contrastate. Il termine territori di vita desiderati è usato invece per quelli che non hanno mai soddisfatto le tre caratteristiche in passato, ma che oggi potrebbero svilupparle perché una comunità è pronta a prendere su di sé il ruolo di custodia.
  3. In quanto “documento vivente”, questo Manifesto sarà regolarmente riaffermato (ad esempio, in occasione delle Assemblee Generali del Consorzio) e arricchito secondo necessità. I suoi firmatari riconoscono l’importanza di un Manifesto dinamico nell’attuale contesto di accelerazione dei cambiamenti imposti alla Natura e alle persone. Tuttavia, mentre si sforzano di continuare ad imparare e condividere, i firmatari riconoscono e sottolineano anche l’urgente necessità di allearsi – tra Popoli Indigeni custodi, comunità locali di custodi, ed organizzazioni ed individui decisi a sostenerli – per trasformare la visione del Manifesto in azione il prima possibile.
  4. Diciamo ‘auto-identificarsi e riconoscersi reciprocamente’ in contrapposizione a ‘essere riconosciuti dallo Stato’. L’espressione ‘auto-identificarsi’ richiama l’auto-identificazione dei Popoli Indigeni inclusa nella Convenzione ILO 169 del 1989 ed è assertiva dell’autodeterminazione e dell’auto-emancipazione. ‘Riconoscimento reciproco’ si riferisce all’accettazione e al rispetto tra pari, cioè tra i Popoli Indigeni e le comunità locali che si autoidentificano come custodi. Questo aspetto chiave della solidarietà e del mutuo supporto è essenziale per sostenere l›autodeterminazione.
  5. Molti Popoli Indigeni hanno una continuità storica con le società precoloniali che si sono sviluppate nei loro territori e si considerano distinti dalle società che oggi prevalgono su quei territori. In questo senso, il termine Indigeno è eminentemente politico e assume il suo pieno significato sullo sfondo storico degli Stati coloniali, neocoloniali e post-coloniali, coinvolgendo questioni di giustizia e solidarietà. La Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti deipopoli Indigeni (UNDRIP) del 2007 include come caratteristiche guida: l’auto-identificazione come Nazioni e/o Popoliindigeni; una storia condivisa di ingiustizie, colonizzazione ed espropriazione della terra; una rete di relazioni basate sul territorio; lingua, pratiche tradizionali, conoscenze e istituzioni legali e culturali distinte da quelle dominanti nello Stato in cui si risiede; conoscenze, cultura e pratiche che contribuiscono alla governance e alla gestione sostenibile delle relazioni umane con il mondo naturale e non solo. Il concetto di ‘Popolo Indigeno’ è estremamente ricco e non dovrebbe essere utilizzato in modo semplicistico né appiattire le storie particolari e le diversità culturali fra i popoli.
  6. Consideriamo ‘comunità locali’ quelle che ‘si riconoscono come tali’ e che spesso – come nel caso delle comunità Afro-Colombiane o quilombola in Sudamerica o delle comunità montane in Europa – hanno un lungo legame con i territori che hanno tradizionalmente utilizzato o abitato. Una definizione operativa di ‘comunità’ può essere ‘un gruppo umano auto-identificato che agisce collettivamente in modi che contribuiscono a definire un territorio e una cultura nel tempo’. Una comunità locale può essere di lunga data (‘tradizionale’) o relativamente nuova, può includere un’unica identità etnica o più identità, e di solito assicura la propria continuità attraverso la riproduzione naturale e la cura dei suoi membri e del suo ambiente di vita. Le comunità possono essere stabilmente insediate o mobili. I membri di una comunità hanno di solito frequenti occasioni di incontro diretto (possibilmente faccia a faccia) e possiedono elementi sociali e culturali condivisi, come una storia comune, tradizioni, lingua, valori, progetti di vita e/o un senso di identità che li legano e li distinguono da altri nella società. È importante notare che una comunità custode di un territorio di vita possiede o cerca attivamente di sviluppare un’istituzione di governance capace di stabilire e far rispettare le regole per l’accesso e l’uso del territorio. Le condizioni di custodia possono essere storicamente complesse, come quando le comunità sono state trasferite con la forza dai loro territori originari. Sebbene le comunità di custodi siano più facilmente riscontrabili in ambienti ‘rurali’, anche le comunità ‘urbane’ possono auto-identificarsi come custodi (Ashish Kothari, comunicazione al team di redazione del Manifesto del Consorzio, giugno 2023).
  7. Tutti i termini inclusi nel Manifesto – e in particolare il termine ‘custodi’ – richiedono una traduzione adattata alla lingua, poiché la traduzione letterale può trasmettere poco del significato desiderato. In francese, ad esempio, la traduzione letterale di custodi è ‘gardiens’, un termine spesso percepito con una connotazione coloniale, che non trasmette la relazione attiva di governance e cura, ma un significato più semplice di ‘gestire per conto del proprietario’. Abbiamo scelto di tradurre il termine con il francese ‘protecteurs’, che è ancora un compromesso, ma è forse migliore di ‘gardiens’. In altre lingue latine (ad esempio, in spagnolo o in italiano) il termine descrive abbastanza bene l’idea di ricevere un territorio dagli antenati e di mantenerlo per le generazioni future… Per alcuni, tuttavia, evoca ancora l’idea di semplici ‘custodi’ piuttosto che di ‘decisori’. In molte altre lingue (ad esempio l’olandese) è davvero difficile tradurre correttamente il termine. Il Consorzio sta cercando attivamente un termine in qualsiasi lingua locale che descriva in modo ricco ed esaustivo i legami unici che uniscono una comunità al suo territorio di vita, sperando di adottarlo, a tempo debito, come lingua franca per tutti i suoi membri.
  8. Scriviamo in maiuscolo ‘Natura’ in seguito a una richiesta esplicita dell’Assemblea Regionale del maggio 2023 dei Membri del Consiglio e dei coordinatori regionali del Consorzio ICCA in Africa.
  9. Il concetto di ‘viver bene’ (buen vivir) è emerso con forza di recente in America Latina. Il soggetto del buen vivir non è l’individuo, ma un’intera comunità, in armonia con il proprio ambiente [cfr: Gudynas E., & A. Acosta, 2011. “La renovación de la crítica al desarrollo y el buen vivir como alternativa”, Utopía y Praxis Latinoamerica, 16 (53): 71-83].
  10. Per ‘nativismo fanatico’ intendiamo il ‘razzismo basato sul luogo di nascita’, l’idea che solo le persone nate in loco debbano essere trattate pienamente come esseri umani. Questo concetto è oggi particolarmente pertinente per l’Europa e il Nord America, ma non solo, poiché il rischio di intolleranza, brutalità e violenza verso gli ‘altri’ è un pericolo che riguarda tutti i movimenti basati sul ‘territorio’. I firmatari del Manifesto sono consapevoli di questo pericolo. Essi valorizzano la comune umanità di tutti e rifiutano i comportamenti intolleranti anche quando difendono i loro territori di vita.
  11. Il concetto di ‘economia morale’ è stato sviluppato in Brasile dal Movimiento de los Trabajadores Rurales Sin Tierra per descrivere le economie locali in cui vengono utilizzati molti più valori di quello puramente monetario. Solo le economie morali possono avere una possibilità di prevenire il degrado della Natura e sostenere l’equità sociale.
  12. Dal greco autos (sé) e nomos (regole), ‘autonomia’ significa essere in grado di fornire le regole della comunità – un chiaro significato politico. Il termine implica anche un livello di indipendenza nell’assicurare le condizioni e le necessità della vita – un chiaro significato economico. Per alcuni, solo un livello di autonomia su scala socio-ecologica adeguata significa libertà dal sistema industriale e dai disastri socio-ecologici che lo accompagnano. In questo senso, poiché la produzione e la distribuzione di massa e la totale dipendenza dal lavoro salariale implicano necessariamente il controllo politico ed economico da parte di pochi su molti, solo i territori di vita con un livello di autonomia su scala locale o regionale sembrano offrire la possibilità di una governance conviviale da parte dei custodi stessi [cfr: Berlain A., 2021. Terre et Liberté. La Lenteur Ed., Saint Michel de Vax].
  13. Vedi: Human Rights Council Expert Mechanism on the Rights of Indigenous Peoples, 2023. Impact of militarization on the rights of Indigenous Peoples, A/HRC/EMRIP/2023/2.
  14. L’estrattivismo è un modello economico centrato sull’estrazione di grandi quantità di materie prime o naturali, in particolare per l’esportazione, con una lavorazione locale minima, un controllo minimo o nullo da parte delle comunità nei siti di estrazione e un beneficio minimo o nullo per le stesse.
  15. I modi di vita tradizionali dei custodi, come la coltivazione itinerante e la pastorizia mobile, sono stati spesso fraintesi, criminalizzati e avversati senza vergogna. La loro riabilitazione come modi di vita sostenibili e in grado di mantenere la diversità è appena iniziata.
  16. Un esempio di ‘area conservata di fatto’– autodefinita, istituita, governata e gestita da un Popolo Indigeno di custodi è la Selva Viviente Kawsak Sacha del Popolo Sarayaku dell’Ecuador (kawsaksacha.org).
  17. Poiché il Consorzio ICCA è un›associazione strategica, il Manifesto è principalmente un documento strategico. Non intende confondere in alcun modo le diverse realtà e prospettive delle miriadi di Popoli Indigeni e comunità locali che possono auto-identificarsi ed essere riconosciute dai loro pari come ‘custodi’ di territori di vita. Piuttosto, li chiama a creare un’alleanza per mantenere vivi i loro patrimoni, le loro culture ed i loro territori in modi autodeterminati, cioè nei modi che loro ritengono appropriati per loro e per le loro circostanze.
  18. L’autodeterminazione è l’obiettivo cruciale dei firmatari del Manifesto ed è un concetto ricco e impegnativo che assume significati e comporta processi e risultati diversi per i diversi Popoli Indigeni e comunità locali interessati. Alcuni si concentrano sul mantenimento della propria cultura (lingua, valori, istituzioni, tradizioni, cerimonie, modi di vivere…). Altri cercano di ottenere una forma di governance autonoma sulla terra e sulla base materiale dei propri modi di vita. Altri ancora chiedono un organo deliberativo separato che possa garantire un livello di autonomia politica. Per molti Popoli Indigeni e comunità locali, l’autodeterminazione comprende diverse e specifiche combinazioni di questi tre aspetti, che comunque cercano di garantire la sopravvivenza del loro patrimonio naturale e culturale, materiale e immateriale. Solo in una piccola minoranza di casi, che comunque lo dichiarano esplicitamente, l’autodeterminazione implica l’indipendenza politica dallo Stato-nazione. L’autodeterminazione è pienamente abbracciata dalle Nazioni Unite (l’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite del 1945 chiede “il rispetto del principio dell’uguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli…”. In seguito, l’articolo 1 del Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali e l’articolo 1 del Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici del 1966 affermano che “Tutti i popoli hanno diritto all’autodeterminazione. In virtù di tale diritto essi determinano liberamente il loro status politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale”). La Corte internazionale di giustizia ha riconosciuto il diritto all’autodeterminazione come “…uno dei principi essenziali del diritto internazionale contemporaneo” e ha definito “ineccepibile” l’affermazione che il diritto dei popoli all’autodeterminazione ha carattere erga omnes (si veda il caso di East Timor ICJ Reports 1995, p. 90, at para. 29, www.icj-cij.org/case/84). L’autodeterminazione è anche riconosciuta dal diritto internazionale come un diritto di processo, proprio dei popoli (non degli Stati-nazione o dei governi). Pertanto, il diritto all’autodeterminazione è un diritto ‘duro’ erga omnes, anche se un diritto di processo, non di risultato, e un’ampia gamma di risultati possibili dipende dalla situazione, dai bisogni, dagli interessi e dalle condizioni delle parti interessate (cfr. qui: unpo.org/article/4957). L’autodeterminazione è esplicitamente al cuore dell’UNDRIP e implicita nelle richieste di molte comunità locali di custodi non Indigeni nella Dicharazione delle Nazioni Unite sui diritti dei Contadini. Rispettare l’autodeterminazione significa ottenere diversi risultati in diverse circostanze, dalla garanzia della volontà di un Popolo Indigeno di rimanere in isolamento volontario al rispetto del diritto al consenso previo, libero ed informato, dal riconoscimento di un livello desiderato di giurisdizione normativa interna alla piena indipendenza culturale ed economica (ad esempio, diritti linguistici, sicurezza alimentare autonoma, governo regionale autonomo) – il tutto per impedire l’assimilazione di fatto. Autodeterminazione significa anche mantenere la capacità di definire l’‘autodeterminazione’ in qualsiasi contesto mutevole. Alcuni popoli impegnati nelle lotte per l’autodeterminazione sono membri dell’Unrepresented Nations and Peoples Organization. Altri si concentrano su una governance territoriale limitata e cercano di ottenere diritti e responsabilità collettive come parte di specifiche alleanze globali, nazionali e locali. Sebbene l’autodeterminazione sia da sempre inclusa nella missione del Consorzio ICCA, questo Manifesto evidenzia il concetto come obiettivo e visione chiave autodefinita dei custodi dei territori di vita.

  19. Per ‘responsabilità’ intendiamo: 1) le responsabilità reciproche all’interno dello specifico Popolo Indigeno o comunità di custodi, nonché nei confronti delle generazioni passate e future, e 2) le responsabilità nei confronti della Natura. Il termine non è usato per indicare ‘responsabilità verso lo Stato-nazione’ o per esprimere una condizione per ottenere diritti collettivi. Seguendo alcuni pensatori e leader Indigeni, crediamo che la responsabilità per la terra sia un privilegio piuttosto che una condizione per ottenere qualcos’altro, ed è l’essenza della vera indigeneità. Ciò implica che l’auto-identificazione come custodi e il riconoscimento reciproco da parte dei pari devono venire prima e sono più importanti del riconoscimento da parte dello Stato-nazione, anche quando questo arriva con una lubrificazione di denaro. Secondo lo studioso e attivista Cherokee Jeff Corntassel, la trasmissione delle conoscenze indigene e locali alle generazioni future e la generazione di nuove forme di conoscenza a livello di comunità nelle relazioni quotidiane di sussistenza sono necessarie per far fiorire l’autodeterminazione sostenibile. Le responsabilità relazionali, radicate nel luogo e nella parentela e spesso contenute o espresse attraverso usanze e norme, piuttosto che codificate in statuti legali e/o sentenze di tribunali, sono caratteristiche di comunità mature, che fanno rispettare i loro diritti e adempiono alle loro responsabilità. Il concetto di ‘responsabilità’ riequilibra l’attenzione verso il locale, la comunità, la realtà della vita e dell’identità dei Popoli Indigeni e delle comunità locali, piuttosto che verso i forum nazionali e internazionali, che non fanno parte della storia, delle istituzioni o della cultura di molti di questi popoli e comunità [Corntassel J., 2012. ‘Re-envisioning resurgence: Indigenous pathways to decolonization and sustainable self-determination’ in Decolonization: Indigeneity, Education & Society 1 (1): 86-101; Corntassel J. and T. Hardbarger, 2019. “Educate to perpetuate: land-based pedagogies and community resurgence”, International Review of Education 65: 87–116].
  20. Alcune comunità locali hanno diritti collettivi simili o equivalenti ad alcuni (non tutti) i diritti dei Popoli Indigeni. Se una comunità locale ha una cultura distinta che è così legata a un luogo particolare che la capacità dei suoi membri di continuare a godere e perpetuare la propria cultura dipende dalla protezione del suo rapporto con quel luogo, alcuni tribunali per i diritti umani e altri organismi hanno stabilito che gli Stati non possono intraprendere azioni che avranno un impatto negativo su tale rapporto senza il consenso libero, previo e informato della comunità. Il caso principale è quello del popolo Saramaka contro il Suriname, deciso dalla Corte interamericana dei diritti umani nel 2007 (John Knox, comunicazione al team di redazione del Manifesto del Consorzio, giugno 2023). Il legame culturale non è uno standard facile da soddisfare, ma molte comunità lo soddisfano e meritano la piena protezione dei diritti umani legati ai loro territori ancestrali (Ali Razmkhah, comunicazione al team di redazione del Manifesto del Consorzio, giugno 2023).
  21. La giustizia sociale, la giustizia ambientale e la giustizia climatica hanno a che fare con la governance della società e possono essere in linea di massima caratterizzate da tre dimensioni interconnesse: 1) la distribuzione (ad esempio, un’equa ripartizione della ricchezza e delle opportunità; un equo accesso ai bisogni essenziali come cibo, alloggio, cure mediche e istruzione, un’equa ripartizione dei costi e dei benefici dello ‘sviluppo’, compresi il degrado ambientale, i rischi per la salute e i cambiamenti climatici); 2) le procedure (ad esempio, dei processi decisionali e di applicazione che siano equi, informati, non discriminatori e che rispettino la dignità e i diritti umani di tutti); e 3) il riconoscimento (ad esempio, la consapevolezza e l’apprezzamento dell’identità, dei valori, dei sistemi di conoscenza e delle istituzioni di tutti gli attori legittimi). Ancor più della giustizia sociale e ambientale, la giustizia climatica introduce con forza la necessità di includere nel processo decisionale la considerazione delle generazioni future.

Immagini e illustrazioni tratte da Territories of Life: Report 2021. Icone da flaticon.com di Eucalyp e Freepik.
Design di Ines Hirata.
Traduzione italiana di Silvia Ritossa. Correzioni di Grazia Borrini-Feyerabend.

First published on 08/15/2023, and last updated on 11/06/2023